Le modifiche al Job Act approvate nel decreto Dignità: non viene toccata la struttura dei licenziamenti, ma solo il risarcimento.

12 Luglio 2018

Il Decreto Dignità, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 2 luglio, non interviene solo sulla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato. Il raggio di intervento del Decreto nel diritto del lavoro, infatti, si estende anche a quella che può essere considerata la riforma “chiave” del Jobs Act, ossia, il contratto a tutele crescenti. Ma facciamo un passo indietro.

Il d.lgs. n. 23/2015, ossia uno dei decreti delegati attuativi della riforma meglio nota come Jobs Act, ha previsto, per i dipendenti assunti dopo il 7 marzo 2015, una nuova disciplina in caso di licenziamento illegittimo.

In buona sostanza, mentre coloro che sono stati assunti prima del 7 marzo 2015 sono coperti, nell’ipotesi di licenziamento, dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (per le aziende con più di quindici dipendenti) e dalla l. n. 604/1966 (per le aziende con meno di quindici dipendenti), per coloro che sono stati assunti dopo questa data la nuova disciplina del licenziamento risiede nel d.lgs. n. 23/2015.

L’obiettivo della riforma è stato quello di rendere certo e automatico l’ammontare dell’indennità cui il lavoratore ha diritto qualora venga dimostrata in giudizio l’illegittimità del licenziamento.

Salvo alcune ipotesi residuali in cui, infatti, il lavoratore può ancora ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro, come ad esempio in caso di licenziamento discriminatorio, nullo oppure di licenziamento disciplinare in cui si dimostri la manifesta insussistenza del fatto contestato, la regola generale è che al licenziamento illegittimo consegue il mero diritto ad un’indennità pari a due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 ed un massimo di 24 mensilità. Su questa materia interviene ora il Decreto Dignità.

A ben vedere non si tratta, come affermato da alcuni, di un sostanziale stravolgimento della disciplina introdotta dal Jobs Act ma di un mero aggiustamento dei numeri. La disciplina infatti resta del tutto invariata. L’unica cosa che cambia è l’ammontare dell’indennità che il lavoratore illegittimamente licenziato può ottenere che resta fissata in due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo che passa, però, da 4 a 6 mensilità ed un massimo che passa da 24 a 36 mensilità.

A ben vedere la novità riguarda solo la misura minima. Dovremo, infatti, attendere il 2033 per poter vedere gli effetti dell’applicazione dell’indennità massima posto che per acquisire il diritto alle 36 mensilità di indennizzo occorre cumulare ben 18 anni di servizio e tale norma si applica agli assunti post 7 marzo 2015.

L’effetto immediato, invece, riguarda i dipendenti licenziati poco dopo l’assunzione. Anche un dipendente con meno di un anno di anzianità, infatti, può accedere all’indennizzo pari a 6 mensilità, contro le 4 della previgente disciplina.

Il Decreto Dignità non è ancora efficace. Lo diverrà il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, attesa nei prossimo giorni.

Una volta pubblicato in gazzetta Ufficiale il Decreto sarà immediatamente efficace tuttavia occorrerà verificare se, nell’iter parlamentare teso alla conversione in legge del decreto, non siano apportate delle modifiche.

L’intervento sull’indennità di licenziamento, allo stato, non è stato oggetto di particolari critiche e si potrebbe dunque pensare che l’iter parlamentare non modifichi le nuove indennità fissate nel decreto Dignità.

Fonte: https://www.laleggepertutti.it/220772_decreto-dignita-come-cambiano-le-indennita-di-licenziamento