Premi aziendali: la disdetta verbale fatta dal datore di lavoro ha valore?

Il datore di lavoro ti ha erogato, per alcuni anni, un premio aziendale collegato al risultato. Nel patto che ne prevedeva l’istituzione, era chiaramente indicato che il premio non avrebbe avuto una durata limitata nel tempo, ma sarebbe stato confermato ogni anno, con rinnovo automatico, salvo disdetta. Così, tutte le volte in cui sei riuscito a realizzare gli obiettivi di risultato prefissati di volta in volta dall’azienda, hai anche ottenuto il bonus. Senonché, quest’anno, l’azienda non ha più comunicato l’obiettivo da raggiungere, comunicando verbalmente ai propri dipendenti che non ci sarebbe stato più alcun premio aziendale. A tuo avviso però la comunicazione è stata tardiva perché, confidando nel rinnovo automatico, la tua prestazione lavorativa è stata sempre rivolta a realizzare il massimo utile per il datore. Soprattutto non ti convince il fatto che la diretta del premio ai dipendenti sia avvenuta verbalmente e non per iscritto come invece era stato istituito. In un eventuale contenzioso con la ditta datrice di lavoro, chi vincerebbe? La questione è stata risolta di recente dalla Cassazione [1]. La Suprema Corte si è cioè preoccupata di chiarire come si disdicono i premi di risultato ai dipendenti.

Nel nostro ordinamento, vale il principio generale della «libertà di forma»: contratti, accordi e tutto ciò che regola i rapporti tra privati non deve essere necessariamente scritto, salvo casi straordinari laddove è la legge stessa a richiedere in modo espresso un documento firmato. Questo principio di libertà di forma si applica anche ai premi aziendali, benché questi siano stati istituiti con accordi contratti collettivi di lavoro. Dunque la disdetta può avvenire non solo oralmente, ma anche con fatti concludenti, ossia con comportamenti taciti che denotano la volontà di non voler più rinnovare il premio.

Secondo il tribunale di Napoli [2], il premio di risultato aziendale può essere revocato unilateralmente dal datore di lavoro solo se tale facoltà gli era stata riservata nell’accordo iniziale. In caso contrario, se manca il consenso di entrambe le parti, una di queste – nella specie il datore di lavoro – non può recedere autonomamente e improvvisamente dal patto di risultato. «L’instaurazione di un rapporto contrattuale, stipulato in forza di un valido ed efficace accordo negoziale comporta la nascita di un vincolo che non può essere posto nel nulla per iniziativa unilaterale salvo che non siano previste disposizioni contrattuali che attribuiscono ad una o entrambe le parti il potere di estinguere unilateralmente  il rapporto attraverso l’esercizio del potere di recesso. Il datore di lavoro può dare disdetta all’accordo collettivo aziendale che ha istituito un premio di risultato se tale facoltà è prevista dall’intesa originaria e viene esercitata entro i termini pattuiti tra le parti».

La tematica è stata materia di interesse di svariate pronunce giurisprudenziali, le quali:

  • hanno sancito la legittimità del potere di unilaterale risoluzione (da parte del datore di lavoro) del contratto collettivo aziendale, anche laddove privo di termine di scadenza e quindi senza bisogno del consenso del lavoratore;
  • hanno delineato il perimetro di un gruppo di diritti inviolabili- i cosiddetti diritti quesiti – i quali devono essere sempre garantiti ai dipendenti anche nel momento dell’interruzione dell’efficacia del predetto contratto collettivo. Si tratta di quei diritti che integrano situazioni sostanziali protette che il lavoratore ha già maturato nell’ambito ed in esecuzione del rapporto di lavoro (durante il termine di efficacia del contratto collettivo) e sui quali la risoluzione dell’accordo non può incidere.

note

[1] Cass. sent. n. 2600/18 del 2.02.2018.

[2] Trib. Napoli, sent. n. 342/2017.

Fonte: https://www.laleggepertutti.it/194309_premi-di-risultato-ai-dipendenti-come-si-disdicono