La prescrizione dell’accertamento fiscale e della riscossione: i termini per gli avvisi e per la cartella di pagamento. Come funziona la prescrizione e la decadenza. Così ci si libera dall’obbligo di pagamento delle imposte.

Come liberarsi dalle tasse? Ovviamente pagando. Ma chi non può farlo, ha ugualmente più di una possibilità per farla franca. Certo, detta così, sembrerebbe una frase da “azzeccagarbugli” e invece è la stessa legge a individuare i casi in cui non si deve pagare. Non stiamo parlando quindi di elusione o, peggio, di frode ma dell’esercizio di un vero e proprio diritto. Ci riferiamo, in particolare, alla prescrizione delle tasse: quando lo Stato si “dimentica” di riscuoterle, per propria inefficienza o per qualsiasi altra ragione, e decorre un termine prestabilito dalla normativa (e che a breve indicheremo), il contribuente è definitivamente salvo. Né è necessario avviare una particolare procedura per far valere la prescrizione: si tratta infatti di un effetto automatico che si attua al semplice decorso del tempo. Potrebbe essere necessario un giudice e una causa apposita per accertare se davvero c’è stata prescrizione o meno, ma la sentenza non farà altro che accertare qualcosa che si è già compiuta, indipendentemente dalla volontà delle parti. Come quasi tutti i diritti, anche quello alla riscossione delle imposte cade in prescrizione. Lo Stato cioè ha un termine limitato per chiedere il pagamento dei tributi e se non lo fa non può che prendersela con sé stesso. Tale termine non è sempre uguale. Ecco perché è necessario chiarire, in modo semplice e schematico, quando le tasse vanno in prescrizione, così da avere sempre sotto controllo la possibilità di presentare ricorso contro richieste indebite azionate dall’erario, richieste che possono giungere con un avviso di accertamento o con una cartella esattoriale.

Cos’è la prescrizione delle tasse

La prescrizione delle tasse può intervenire in due fasi diverse: quella dell’accertamento e quella della riscossione. In particolare:

  • la prescrizione dell’accertamento fiscale fa sì che se l’amministrazione finanziaria (ad esempio l’Agenzia delle Entrate o, per i tributi locali, il Comune e la Regione) non richiede il pagamento dell’imposta entro un determinato periodo, non può più farlo. Il termine di prescrizione inizia a decorrere da quando la tassa doveva essere pagata dal contribuente che, invece, è rimasto moroso;
  • la prescrizione della riscossione esattoriale invece si compie in un momento successivo ossia quando, pur accertato nei termini il mancato pagamento del tributo da parte del contribuente e contestatogli regolarmente, l’Agente della riscossione poi non ha provveduto nei termini al recupero coattivo (con la notifica della cartella o con l’avvio del pignoramento).

Con una importantissima sentenza di fine 2016 [1], ponendo fine a una lunga diatriba giurisprudenziale, le Sezioni Unite della Cassazione hanno detto che i termini di prescrizione sono gli stessi sia in sede di accertamento che in sede di riscossione. In altre parole, tanto per fare un esempio, se la prescrizione all’accertamento del bollo auto si prescrive in tre anni, anche la cartella esattoriale con la richiesta di tale tributo ha la medesima prescrizione. Se l’imposta sulla casa si prescrive in cinque anni, anche la corrispondente cartella cade in prescrizione dopo un quinquennio. Se il contribuente non impugna la cartella nei 60 giorni previsti dalla legge e quindi fa diventare definitiva la pretesa esattoriale, il termine di prescrizione resta sempre lo stesso di quello dell’accertamento.

In un solo caso il termine di prescrizione può variare: quando cioè il contribuente fa opposizione contro la richiesta di pagamento dell’imposta e perde la causa. In tal caso, infatti, cambia la fonte dell’obbligo di pagamento: non più la cartella ma la sentenza. Ebbene, per tutte le sentenze (tributarie o meno) il termine di prescrizione è sempre di 10 anni. Quindi, ad esempio, la richiesta di pagamento del bollo auto impugnata davanti alla Commissione Tributaria, si prescrive in 10 anni se il contribuente perde il ricorso.

Differenza tra prescrizione e decadenza

Attenzione a non confondere la prescrizione con la decadenza. La decadenza è il termine entro cui determinate attività dell’amministrazione finanziaria devono necessariamente intervenire. A differenza della prescrizione essa non può essere interrotta con un sollecito di pagamento: se l’attività non viene posta in essere, il tributo non può più essere riscosso. L’esempio tipico è il termine entro cui deve essere notificata la cartella esattoriale dalla data di iscrizione a ruolo del tributo.

Se la tardività dell’accertamento causa la nullità dell’atto, gli atti successivi (esempio preavviso di fermo di beni mobili registrati), se sono notificati prima del decorso del termine prescrizionale, ne comportano invece l’interruzione, ed esso ricomincia a decorrere.

Tasse: dopo quanto tempo vanno in prescrizione?

Come abbiamo detto, i termini di prescrizione non sono uguali per tutte le tasse ma variano. Ad esempio le imposte sui redditi come Irpef e Ires, nonché l’Iva e l’Irpa cadono in prescrizione dopo 10 anni [2].

Invece le sanzioni amministrative, che di solito sono collegate al mancato o tardivo pagamento delle tasse, la prescrizione è sempre di cinque anni [3]. Ad esempio, ipotizziamo un accertamento Iva sull’anno 2012, che va notificato entro il 31.12.2017. L’atto viene notificato il 22.12.2017, quindi la decadenza è rispettata.

Se non ci sono atti interruttivi, la prescrizione per le imposte spira il 20.2.2028 e per le sanzioni il 20.2.2023.

Per gli altri tributi, bisogna andare a verificare le singole leggi che ne hanno disciplinato la nascita se le stesse fanno riferimento a termini di prescrizione e/o di decadenza differenti.

Ad esempio, per quanto riguarda l’imposta di registro, per gli accertamenti e gli avvisi di liquidazione vigono termini di decadenza mentre la riscossione si prescrive in dieci anni. Lo stesso vale per l’imposta sulle successioni [4].

Per il bollo auto, la prescrizione è di tre anni che iniziano a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui il bollo è scaduto [5]. Ad esempio, il bollo da pagare nel 2017 si prescrive il 31 dicembre 2020.

Tutti i tributi locali, come Imu, Ici, Tasi, Tari, ecc. si prescrivono in cinque anni. In cinque anni si prescrivono anche i contributi consortili [6].

Sempre in cinque anni si prescrivono i crediti previdenziali di Inps e Inail.

TASSA
TERMINE DI PRESCRIZIONE
Iva 10 anni
Imposta di registro 10 anni
Irpef 10 anni
Ires 10 anni
Irap 10 anni
Iva 10 anni
Canone Rai 10 anni
Camera di commercio 10 anni (secondo alcune sentenze 5 anni)
Sanzioni tributarie 5 anni
Contributi previdenziali e assistenziali dovuti a Inps e Inail 5 anni
Imu 5 anni
Ici 5 anni
Tari 5 anni
Tarsu 5 anni
Contributi consortili 5 anni
Bollo auto 3 anni

Se un’intimazione di pagamento riguarda tasse tra loro differenti, oltre che sanzioni, la prescrizione opera in modo diverso a seconda della singola imposta; per cui potrebbe avvenire che, dopo alcuni anni, solo alcune di tali sono possono risultare prescritte mentre altre ancora non lo sono (si pensi a un’intimazione di pagamento per Imu e Irpef).

La prescrizione decorre dalla data in cui il diritto può essere fatto valere, dunque dal giorno successivo a quello in cui il tributo o la sanzione avrebbe dovuto essere pagato.

Il versamento del debito prescritto eseguito in via spontanea, dunque non a seguito di ruolo per evitare gli atti esecutivi e cautelari, non può essere chiesto a rimborso.

Irpef: le tasse sul reddito dopo quanto tempo vanno in prescrizione?

Bisogna segnalare un orientamento che sta prendendo sempre più piede, da ultimo rimarcato dalla Ctr Lombardia [11], orientamento secondo il quale l’Irpef cade in prescrizione dopo cinque anni e non dieci. Questo perché esiste una norma del codice civile secondo cui si prescrivono nel quinquennio tutti i pagamenti che devono essere fatti almeno una volta all’anno (o in cadenze più brevi). Chiaramente questa interpretazione si contrappone a quella “tradizionale” secondo cui invece le tasse sul reddito vanno in prescrizione in 10 anni.

Abbracciare l’interpretazione secondo cui le tasse vanno in prescrizione dopo cinque anni significa anche tagliare a metà i termini per il recupero delle cartelle di pagamento dell’Agenzia Entrate Riscossione, in quanto sono gli stessi dell’imposta anche dopo la scadenza dei termini per l’impugnazione.

La partita è ancora aperta e fino a quando non interverrà un chiarimento del legislatore o delle Sezioni Unite è facile immaginare delle aperture in un senso o nell’altro. Di fatto, la questione della prescrizione delle tasse resta sempre quella di maggior interesse per i contribuenti perché è proprio sfruttando l’inefficienza dell’amministrazione nella riscossione che ci si riesce spesso a liberare definitivamente da debiti che non sono più contestabili.

Prescrizione rimborsi di imposte

Il contribuente, a livello generale, deve presentare domanda di rimborso entro i termini di decadenza indicati dalla singola legge; ma poi, nel momento in cui spirano novanta giorni da tale domanda senza che l’ente impositore abbia risposto, si forma il silenzio-rifiuto, e il ricorso andrà presentato entro la prescrizione di 10 anni o entro il diverso termine prescrizionale applicabile (se si tratta di tributi locali, la controparte potrebbe sostenere l’applicabilità della prescrizione dei cinque anni).

Tale termine, essendo prescrizionale, può essere interrotto.

Prescrizione degli interessi

In generale sugli interessi fiscali, una prima opinione ritiene operante la prescrizione di cinque anni a prescindere da quale sia il termine di prescrizione dell’imposta (quindi, ad esempio, per il mancato pagamento dell’Iva che si prescrive in 10 anni, gli interessi si prescrivono invece in cinque) [7]. C’è però anche un precedente della Cassazione secondo cui la prescrizione degli interessi delle tasse è di 10 anni [8]. 

Cosa sono gli atti interruttivi della prescrizione?

Il termine di  prescrizione è interrotto da ogni atto che valga a costituire in mora il debitore: per effetto dell’interruzione, il periodo di prescrizione inizia a decorrere nuovamente da capo, a partire dal giorno successivo all’atto interruttivo.

Ad esempio, la notifica della cartella di pagamento o dell’accertamento esecutivo ove si intima il pagamento degli importi sono atti interruttivi.

Ad esempio: un contribuente riceve un atto di accertamento imposte sui redditi, che non impugna. Tre anni dopo, viene notificata la comunicazione di ipoteca, con la quale si intima il pagamento degli importi dovuti. Detta comunicazione, avendo anche la funzione di messa in mora e non solo di preavviso di ipoteca, interrompe la prescrizione; pertanto, da quando è notificata, decorrono di nuovo 10 anni per le imposte e 5 anni per le sanzioni, termini che potranno nuovamente essere interrotti.

Anche il comportamento del contribuente può interrompere la prescrizione. Essa, in primo luogo, è interrotta dal ricorso in Commissione tributaria sino al momento in cui la sentenza diventa definitiva. Invece la richiesta di documentazione giustificativa del rimborso non interrompe la prescrizione.

Secondo la Cassazione [9], il pagamento parziale eseguiti in occasione della cartella esattoriale non interrompe la prescrizione.

Sempre secondo la Cassazione [10], la richiesta di dilazione del debito (o meglio detta rateazione) prima del ruolo non interrompe la prescrizione.

La prescrizione della cartella di pagamento

I termini di prescrizione delle tasse che abbiamo appena elencato valgono anche per le cartelle di pagamento dell’Agente della riscossione. Questo perché, come abbiamo precisato in apertura, la prescrizione resta sempre la stessa sia in sede di accertamento che di riscossione. Pertanto, se un contribuente riceve una cartella esattoriale per bollo auto e dopo quattro anni l’Esattore non procede ad avviare alcun procedimento, la cartella è caduta in prescrizione e il debitore è definitivamente libero.

note

[1] Cass. S.U. sent. n. 23397/2016.

[2] Art. 2946 cod. civ.

[3] Art. 20 co. 3 del DLgs. 472/97

[4] Art. 41 del DLgs. 346/90

[5] Art. 5 del DL 953/82. 

[6] Cass. 10.12.2014 n. 26013; Cass. 22.6.2017 n. 15580.

[7] Ctp Milano sent. n. 7362/41/16; Cass. sent. n. 17020/2014; n. 12715/2016; n. 5954/2007.

[8] Cass. sent. n. 18432/2005.

[9] Cass. 3.1.2018 n. 18, Cass. 27.3.2017 n. 7820.

[10] Cass. 29.12.2015 n. 26013, Cass. 26.4.2017 n. 10327.

[11] Ctr Lombardia, sent. n. 1883/16/2018.

 

Sentenza

Cass. 3.1.2018 n. 18

ORDINANZA

Rilevato che:

1. La Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, annullava l’intimazione di pagamento notificata in data 25.9.2011 da Riscossione Sicilia s.p.a. a Alfa s.r.l. e dichiarava insussistente il debito contributivo, fermi restando i pagamenti parziali già eseguiti, essendo il credito avente ad oggetto le residue somme portate nella cartella di pagamento non opposta estinto per effetto di intervenuta prescrizione quinquennale;

2. Per la Cassazione della sentenza ricorre l’INPS, in proprio e per S.C.C.I. s.p.a., che con il primo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2944 del codice civile e lamenta che la Corte territoriale non abbia ritenuto atti interruttivi della prescrizione i pagamenti parziali dei debiti portati nella cartella esattoriale in questione, eseguiti dalla società prima della maturazione del quinquennio;

2.1. Come secondo motivo, contesta l’applicazione della prescrizione quinquennale ai crediti azionati con le cartelle esattoriali non opposte, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995 in relazione all’art. 2953 c.c.;

3. Alfa s.r.l. e Riscossione Sicilia s.p.a. sono rimasti intimati. L’INPS ha depositato anche memoria ex art. 380-bis comma 2 c.p.c.;

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Considerato che:

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Questa Corte ha ancora di recente ribadito che il pagamento parziale, ove non accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione in acconto, non può valere come riconoscimento, rimanendo comunque rimessa al giudice di merito la relativa valutazione di flutto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Cass. n. 7820 del 27.3.2017, n. 3371 del 12.2.2010).

1.1. Nel caso, la Corte territoriale ha argomentato che i pagamenti parziali non potevano ritenersi ricognizione chiara e specifica del diritto altrui, considerato che potevano essere anche giustificati dallo stato di cogenza derivante dalla notifica della cartella esattoriale, che può dare origine all’esecuzione forzata per il caso di inadempimento.

Né risultavano prospettate particolari modalità che potessero implicare la volontà di riconoscere la persistenza del debito contributivo.

1.2. Il motivo chiede pertanto un riesame del merito delle conclusioni cui è giunta la Corte territoriale, che questa Corte non può compiere, esorbitando dai limiti del giudizio di legittimità quali delineati dall’art. 360 n. 5 c.p.c. Né inducono di diverso avviso le considerazioni formulate dall’INPS nella memoria, considerato che ivi si ribadisce il valore univoco del comportamento del debitore, che dopo la notifica delle cartelle ha eseguito otto pagamenti parziali a distanza di tempo ravvicinata, e quindi si chiede una diversa valutazione degli stessi fatti cui la Corte territoriale ha attribuito diverso significato;

2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 23397 del 17.11.2016 che, con riferimento a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ha chiarito che la scadenza del termine perentorio stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce soltanto l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito, ma non determina anche l’effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c. Con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo;

3. dovendosi dare seguito a tale condivisibile orientamento, la soluzione adottata dalla Corte territoriale risulta corretta e conforme a diritto;

4. Ritiene quindi il Collegio, in coerenza con la proposta del relatore, che il ricorso vada rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 5, c.p.c.;

5. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva delle parti intimate;

6. Sussistono invece i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del DPR 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del DLgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Fonte: https://www.laleggepertutti.it/200681_tasse-quando-vanno-in-prescrizione